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Il datore di lavoro si può rifiutare di accettare una pratica di cessione?

C’è un caso che può portare il titolare dell’azienda presso la quale il soggetto richiedente presta servizio a rifiutare di concedere il suo assenso alla cessione del quinto, ed è quello in cui il dipendente abbia già un contratto di cessione del quinto in corso tramite il prestito delega.

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Datore di lavoro e cessione del quinto

Il datore di lavoro, soggetto garante del prestito e debitore ceduto con l’obbligo di effettuare le trattenute sullo stipendio, non potrà opporsi alla cessione del quinto del dipendente: al contrario su di lui incombe l’obbligo di accettarla e il motivo è che un rifiuto lederebbe un diritto.

Un prestito con cessione del quinto dello stipendio è infatti un diritto legittimo del dipendente secondo la Legge Finanziaria del 2005, che ha integrato e corretto la legge sulla cessione del quinto rendendola un diritto del lavoratore dipendente e del pensionato.

Gli obblighi per il datore di lavoro

La cessione del quinto è un prestito che ha uno svolgimento molto lineare e non comporta grandi impegni per chi la richiede. Gran parte dei documenti devono infatti essere prodotti dal datore di lavoro, che dovrà procedere fisicamente al piano di rientro, rimborsando ogni mese la rata del prestito dopo averla detratta dallo stipendio del dipendente.

Prima ancora che l’istituto finanziatore conceda il prestito, il datore di lavoro dovrà infatti rilasciare una serie di documenti indispensabili ad aprire l’istruttoria del finanziamento:

  • il certificato di stipendio, il documento che attesta i dati relativi alla posizione lavorativa e contiene la situazione economica del lavoratore ed eventuali trattenute che possono compromettere la rata massima sostenibile dal dipendente;
  • la notifica del contratto di cessione del quinto, perché subito dopo la richiesta parte la notifica del contratto di cessione del quinto all’amministrazione dell’azienda tramite raccomandata, con in allegato anche l’atto di benestare;
  • l’atto di benestare, il documento utile al perfezionamento della cessione del quinto, che il datore di lavoro dovrà restituire all’istituto finanziatore firmato e timbrato. Stabilisce la veridicità dei dati rispetto a quanto riportato nel contratto e indica la data di inizio dell’addebito della rata nella busta paga del lavoratore.

Il datore di lavoro dovrà anche fornire informazioni sul TFR maturato dal dipendente, sulle trattenute INPS, INAIL e IRPEF e una certificazione che attesti “lo stato di salute” dell’azienda, che allontani ogni rischio legato alla stabilità del posto di lavoro del dipendente.

Ma non sono solo questi gli impegni del datore di lavoro, che dovrà invece adempiere a una serie di compiti ben precisi. Dal controllo del rispetto dei limiti di legge del prestito (perché la rata non superi il 20% dello stipendio al netto di eventuali trattenute assistenziali e previdenziali, di assegni famigliari, di straordinari o premi ricevuti), alla garanzia del pagamento puntuale della rata.

Nel caso ad esempio in cui i calcoli portassero a una quota cedibile inferiore, il datore di lavoro potrà contestare il contratto e chiedere alla società finanziaria di ridurre la rata concessa.

Quando il datore di lavoro può rifiutare di dare il suo benestare?

Tuttavia c’è un caso che può portare il titolare dell’azienda presso la quale il soggetto richiedente presta servizio a rifiutare di concedere il suo assenso alla cessione del quinto, ed è quello in cui il dipendente abbia già un contratto di cessione del quinto in corso.

La sottoscrizione di un precedente prestito con cessione del quinto comporta infatti che si apra una cessione del doppio quinto, definita anche delega di pagamento. Perché questo accada, è necessario che sussistano nuove condizioni evidentemente differenti dalle precedenti.

La cessione del doppio quinto

La delega di pagamento è una forma di finanziamento che segue le stesse regole della cessione del quinto, con la differenza che la rata del prestito è esattamente il doppio rispetto a quella stabilita per la formula principale di prestito con cessione di un quinto dello stipendio.

La cessione del doppio quinto consente infatti di raddoppiare l’ammontare del finanziamento a fronte di una rata calcolata al 40% dello stipendio netto mensile. La somma concessa in prestito è di norma per un ammontare massimo di 60.000 euro e sempre per un periodo di 120 mesi.

Quando è l’istituto finanziatore a rifiutare la cessione del quinto?

In linea di massima il datore di lavoro deve concedere al dipendente la cessione del quinto. I principali casi di rifiuto riguardano invece l’istituto finanziatore, visto che i requisiti richiesti per accedere al prestito sono numerosi e molto stringenti.

Questi i principali motivi che possono portare la banca a rifiutare una richiesta di cessione del quinto:

  • scarsa anzianità lavorativa del dipendente;
  • azienda non rispondente ai requisiti;
  • stato di salute del dipendente;
  • reddito mensile insufficiente;
  • contratto di lavoro non adeguato;
  • valutazione negativa dell’assicurazione.

Uno dei fattori che determinano l’ammontare del prestito ottenibile con cessione del quinto è l’anzianità lavorativa. Quanti più anni il dipendente avrà di TFR maturato, tanto più solida sarà la garanzia prestata. Se invece si lavora da poco tempo e la capienza del TFR è insufficiente a costituire garanzia, allora l’istituto finanziatore potrà rifiutare di concedere il prestito.

Al contrario, può accadere che sia imminente il pensionamento del soggetto richiedente: anche in questo caso, l’istituto finanziatore con molta probabilità rifiuterà di concedere il prestito perché non sussistono le garanzie necessarie.

Può accadere anche che l’azienda non risponda ai requisiti richiesti per la cessione del quinto, ad esempio quando ha un bilancio negativo, un patrimonio netto in passivo o presenti ritardi nel versamento delle quote di cessione attive.

Allo stesso modo, può darsi che le dimensioni dell’azienda non siano tali da garantire sicurezza all’istituto finanziatore: di norma, l’azienda deve avere un minimo di 16 dipendenti. È inoltre necessario che sia costituita da almeno 24 mesi e che abbia depositato almeno i primi 2 bilanci. Difficilmente in mancanza di questi requisiti l’assicurazione che dovrà concedere la polizza rischio vita e impiego darà il suo assenso al prestito.

Infine a influire sul giudizio finale contribuiscono il reddito mensile e il tipo di contratto, perché al netto della rata il cliente dovrà avere una disponibilità di almeno 500 euro mensili, il reddito minimo di sussistenza.

Non potrà infine accedere a un prestito con cessione del quinto chi è in possesso di un contratto di apprendistato o part-time verticale.

Ultimo aggiornamento giugno 2021

A cura di: Paola Campanelli

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