Ecco come investono le famiglie italiane
In uno scenario caratterizzato da tassi particolarmente contenuti, la Banca d’Italia ha rilevato un calo delle quote di obbligazioni pubbliche e private a favore di investimenti in risparmio gestito. Poi lo scenario è mutato sensibilmente con il cambio di rotta in materia di politica monetaria.

Risparmiare è importante, ma non è detto che si riveli sufficiente per assicurarsi un futuro sereno, soprattutto in una prospettiva di lungo termine. Perché molto importante è anche la modalità di impiego dei risparmi, nell’ottica di proteggere il valore reale del patrimonio dall’inflazione e – se possibile – incrementarlo. A questo proposito, di recente la Banca d’Italia ha pubblicato uno studio che analizza come sono cambiati i portafogli degli italiani nell’arco di tredici anni, i primi dieci caratterizzati da tassi a zero (o quasi), seguiti da un periodo di rialzo dovuto all’iperinflazione.
Le principali evidenze dello studio
Dall’analisi emerge che nella prima fase le famiglie italiane hanno ridotto sensibilmente la quota di obbligazioni, aumentando nel contempo quella del risparmio gestito. Tra il 2020 e il 2023, con l’incremento dei tassi di interesse, ci sono stati consistenti acquisti di titoli di debito, soprattutto pubblici italiani, mentre i flussi di risparmio gestito e depositi sono stati negativi.
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Il risparmio gestito spopola in un contesto di tassi bassi
In particolare, in uno scenario caratterizzato da tassi particolarmente contenuti, la Banca d’Italia ha rilevato un calo delle quote di obbligazioni pubbliche e private a favore di investimenti in risparmio gestito, ma senza intaccare la quota dei depositi, leggermente salita al 27,6%. Dunque, oltre un quarto di quanto risparmiato è stato parcheggiato in strumenti che non rendono (se non pochi spiccioli) e che portano a una distruzione di ricchezza, data l’erosione prodotta dall’inflazione. Gli intermediari hanno spinto gli strumenti del risparmio gestito con l’obiettivo di aumentare il reddito da commissioni per far fronte alla compressione del margine di interesse. Dal lato della domanda, i prodotti del risparmio gestito offrivano alle famiglie la prospettiva di ottenere tassi di remunerazione più elevati rispetto a quello storicamente contenuto dei bond. Quanto alla domanda di obbligazioni bancarie, ha inoltre inciso la rimozione del vantaggio fiscale: fino al 2011, i rendimenti degli investimenti in questi strumenti beneficiavano di una tassazione al 12,5%, pari a quella dei titoli di Stato; successivamente, l’aliquota è stata equiparata a quella delle altre rendite finanziarie, prima al 20% e poi innalzata al 26%). Inoltre, la disponibilità di rifinanziamento a lungo termine da parte della Bce ha probabilmente ridotto l’offerta di questi strumenti.
Cambiamenti nel mix di investimento tra le famiglie
I dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane evidenziano che la ricomposizione è stata più importante tra le famiglie con redditi più elevati e residenti in grandi centri abitati, con un aumento degli investimenti a distanza. In ogni caso, nonostante gli andamenti più recenti, alla fine del 2023 l’incidenza del risparmio gestito sul totale delle attività rimaneva più elevata di quella del 2010 (28,7%). Nel contempo la quota dei titoli di debito è salita al 7,6%, dal minimo del 4,2 registrato nel 2021, ma rimane ancora molto inferiore (quasi dodici punti percentuali) rispetto a quella del 2010, mentre quella dei depositi è solo leggermente inferiore (poco più di due punti percentuali).
Crescita per le polizze vita a contenuto finanziario
Fra il 2010 e il 2020 le famiglie hanno investito anche in prodotti assicurativi, incoraggiati, tra l’altro, dai benefici fiscali. Dal lato dell’offerta le compagnie hanno progressivamente ridotto l’offerta di prodotti dotati di garanzia di rendimento, mentre i risparmiatori hanno aumentato in misura l’esposizione a rischi di mercato (ad esempio, tramite polizze unit-linked).
A questo proposito, dall’indagine dell’istituto di Via Nazionale emerge che le polizze sono anche strumenti di inclusione finanziaria: nel 2020 il 5,1% dei nuclei che deteneva solo depositi, aveva sottoscritto questi contratti, a fronte di una penetrazione del 5,6 nella popolazione. “Le famiglie che si orientano verso il risparmio assicurativo probabilmente considerano rilevanti elementi come il bonus in caso di decesso, la clausola di protezione del capitale (per alcuni prodotti) e le normative fiscale e civilistica favorevoli”, si legge nello studio.
Luci e ombre per i Pir
Introdotti nel 2017 con l’obiettivo di creare un ponte tra risparmi privati ed economia reale, i Pir sono partiti bene in termini di sottoscrizioni, ma poi hanno via via perso vigore. Questi strumenti, evidenzia lo studio, non sono riusciti ad attrarre né una quota maggiore di famiglie, né consistenti volumi di investimento, verosimilmente per effetto delle loro caratteristiche intrinseche e delle incertezze legislative che hanno accompagnato questi prodotti a partire dal 2019. Nel 2020 il prodotto era detenuto solo dal 2% delle famiglie italiane.